La geologia, questa sconosciuta...

Se credi che la geologia sia solo la scienza che studia i sassi, che sia totalmente equiparabile con l'archeologia, o che il lavoro del geologo sia solo quello di comparire in tv dopo le catastrofi a ricordare che gli eventi naturali sono prevedibili ma non predicibili...questo è il sito giusto per te!
La geologia è infatti una scienza ancora molto poco conosciuta nel nostro paese; il proposito di questo blog è quello di renderla un po' più conosciuta, comprensibile e, spero, apprezzata!

Domande, chiarimenti, commenti, richieste sono ben gradite!
Buona lettura!


giovedì 26 gennaio 2012

Terceira sotterranea: la metropoli dei microorganismi


Passata la pausa festiva, ho deciso di analizzare, come vi avevo scritto nello scorso post, un articolo molto interessante riguardante una caratteristica particolare delle Isole Azzorre: le concrezioni presenti nelle grotte vulcaniche dell’Isola di Terceira.

Più precisamente, il titolo originale dell’articolo (se qualcuno volesse leggerlo) è: bioconstructions in ochreous speleothems from lava tubes on Terceira Island (Azores), ovvero biocostruzioni negli speleotemi ocracei dei tubi di lava dell’Isola di Terceira (Azzorre). Tutte le informazioni e le immagini contenute in questo articolo provengono da lì.

Per effettuare questo studio i ricercatori spagnoli e portoghesi hanno scelto una grotta caratteristica, la grotta di Buracos. Questa si sviluppa in un lava tube, ovvero un condotto lavico ora non attivo, sull’isola di Terceira. L’isola comprende 4 vulcani poligenetici, Pico Alto, Santa Bárbara, Guilherme Moniz e Cinco Picos; un vulcano viene detto poligenetico quando si costituisce non in seguito ad un’unica eruzione ma per eruzioni successive, in genere separate da tempi anche molto lunghi. I vulcani di Terceira, in particolare, sono stati attivi per gli ultimi 50.000 anni.
La grotta di Buracos è situata nel campo di lava di Malha Grande, sul fianco nord del vulcano Santa Barbara, ed è un segmento isolato del lava tube Gruta dos Balcoes, la caverna più lunga di Terceira.
Il nome (Buracos=buchi) deriva dal fatto che a tetto del condotto si aprono verso l’esterno molte cavità e pozzi, infatti la grotta si sviluppa a solo 2-3 m di profondità dalla superficie.
La roccia nella quale si sviluppa il condotto è formata soprattutto da piroclasti, tra i quali pomice formatasi in seguito ad un’eruzione 3000 anni fa e lapilli basaltici associati ad un eruzione del 1761 aC, e flussi di lava basaltici di composizione variabile. Questi sono generalmente basalti porfirici olocristallini, cioè composti da alcuni grandi cristalli immersi in una pasta di fondo (struttura porfirica), che però non è vetrosa o amorfa ma cristallina microgranulare, formata cioè da cristalli così piccoli che ad occhio nudo non si distinguono (struttura olocristallina).
A chi ha qualche conoscenza di mineralogia, potrebbe interessare che i macrocristalli sono di clinopirosseno e olivina, mentre la matrice è formata da microcristalli di plagioclasio aciculare, olivina, clinopirosseno e qualche scarso opaco (cioè minerali che al microscopio ottico non fanno passare la luce, come per esempio la maggior parte dei minerali metallici).

Carta geologica dell'isola di Terceira. I diversi colori si riferiscono a diversi flussi lavici. In rosso la posizione della grotta di Buracos, sul campo di lava Malha Grande.

Fatta questa premessa, veniamo al dunque. All’interno della grotta di Buracos, come in ogni grotta che si rispetti, si trovano parecchi speleotemi di ogni tipo, comprese stalattiti, stalagmiti, colonne e flow-stone.
La particolare ricchezza e grandezza di queste concrezioni non stupisce, vista la grande quantità di acqua percolante presente in grotta: questa è infatti sovrastata da rocce basaltiche e terreno vulcanico ricco in acqua per la maggior parte dell’anno. Inoltre nella grotta la temperatura rimane stabile attorno ai 14°, il tasso di umidità è molto alto tutto l’anno, e durante il periodo delle piogge si hanno infiltrazioni dal tetto della grotta che contribuiscono a formare le mineralizzazioni.
Gli speleotemi della Grotta di Buracos presentano laminazioni rosse e arancio. Le stalattiti e le stalagmiti sono particolarmente abbondanti, e spesso formano colonne o mura. Le stalattiti si trovano spesso allineate lungo le fratture, mentre i flow-stone, che raggiungono anche 20-30 cm di spessore, coprono completamente le pareti e il pavimento della grotta.
La diversa consistenza della superficie permette il riconoscimento delle formazioni attive e inattive: se una formazione è attiva, infatti, si sfalda facilmente quando viene toccata. 

Speleotemi di caratteristico color ocra-rossiccio della grotta di Buracos. (A) Stalattiti e stalagmiti. (B) La parte apicale di una piccola stalattite. (C) Stalattiti allineate lungo una frattura.

Ma la vera particolarità di questi speleotemi è che vi si è riscontrata la presenza di colonie di microorganismi che contribuiscono alla loro formazione sia in modo attivo (tramite biomineralizzazione, bioprecipitazione e alterazione del substrato di roccia) che in modo passivo (tramite una reazione nella quale la membrana cellulare ed il materiale extracellulare dei microbi fungono da superficie di nucleazione –cioè di formazione di cristalli-). Inoltre i batteri ossidanti prendono parte attivamente al ciclo di riduzione del ferro o di precipitazione di ossido di ferro in condizioni ossiche o anossiche (in presenza o in assenza di ossigeno): a pH neutro i microorganismi precipitano quattro volte tanto ferro ossidato –Fe(II)- rispetto alla precipitazione inorganica. In ambiente neutro quindi i microorganismi sono importanti mediatori dell’ossidazione del Fe(II), e dalle analisi chimiche sulle acque in roccia, esse sono risultate a pH 5,5.
Non sono state stabilite esattamente le specie responsabili di questo processo, ma si è notato come alcune comunità, per esempio Gallionella ferruginea e Leptothrix ochracea entrambe presenti a Buracos, ne sono generalmente associate. Lo stesso si è verificato in esperimenti fatti in laboratorio.

Gli autori quindi hanno eseguito un campionamento rappresentativo da un area vicino all’ingresso della grotta, per poter studiare più in dettaglio la relazione tra la formazione degli speleotemi e le colonie di microorganismi. Metà campioni sono stati prelevati da stalattiti, l’altra metà da stalagmiti, e dalla prima descrizione sul campo essi risultano soffici, friabili e porosi, di colore variabile giallo-bruno, marrone scuro o rossiccio, laminati. Le laminazioni sono ondulate e formate da alternanze di lamine porose, friabili, giallo-brune e bande più dure e scure bruno-rossicce.

Hanno quindi operato  alcune analisi in laboratorio:

·         Attraverso la riduzione in polvere del campione hanno ottenuto diffrattometrie ai raggi X e spettrometrie di massa, due analisi che sfruttano rispettivamente il diverso angolo di diffrazione dei raggi X ed il diverso rapporto tra carica e massa in atomi diversi, per riconoscere gli elementi contenuti.  
Da questi hanno visto quindi che la composizione tipica dei campioni è di Ferridrite (formula Fe2O3·H2O). Inoltre le impurità più significative sono Al, Mn, Ca e Mg, mentre gli elementi rari più abbondanti Ba, Co, Sr, V, Zr, Y, La, Ce, Pr, Nd, Zn and Ni.

·         Hanno svolto uno studio biologico sul DNA, riconoscendo i diversi genomi presenti per risalire alle specie batteriche attualmente predominanti.

·         Studiando al microscopio elettronico a scansione (SEM) hanno notato nelle stalagmiti la presenza di laminazioni in tutte le stalagmiti e livelli che presentano strutture da microstromatoliti (filamentose, ramificate, colonnari o grumose). Tra un livello e l’altro frequentemente si riscontrano superfici erosive o micro-discontinuità. In assenza di strutture microstromatolitiche hanno riscontrato altri tipi di strutture biocostruite.
Le stalattiti invece mostrano un’organizzazione concentrica di livelli mineralizzati, che possono essere rotti, troncati o formare strutture convolute. Alcuni livelli presentano delle microstrutture filamentose, mentre altri più intensamente mineralizzati non presentano strutture.
I due morfotipi fondamentali (classificati cioè utilizzando come criterio la loro forma) sono Gallionella ferruginea e Leptothrix ochracea. Queste due specie però non appaiono predominanti nello studio biologico, o perché non ci sono grosse colonie di Gallionella e Leptothrix ancora viventi, o perché risulta difficile risalire alla presenza di questi batteri attraverso analisi biologiche.
Il fatto però che questi batteri producono strutture mineralizzate, e la loro capacità di precipitare ferridrite, li rende i migliori candidati come biocostruttori principali.


In conclusione, tutti gli studi effettuati dimostrano il ruolo fondamentale dei microorganismi nella formazione degli speleotemi della grotta di Buracos. Oltre alle colonie viventi presenti ed all’evidenza delle strutture microstromatolitiche biocostruite, la presenza dei batteri fa sì che si formino soprattutto ferridriti, e non, come naturalmente sarebbe, ossidi di ferro più stabili come Ematite e Goethite.

Sarebbe da andare a vedere!!

Al prossimo post!

Le immagini seguenti sono tutte ottenute tramite il microscopio elettronico a scansione (SEM)...sono meravigliose!

Forme tipiche da biocostruzione riscontrate nei campioni: (A) depositi minerali sferici translucidi in una stalagmite. (B) ingrandimento del deposito osservato in (A). (C) organizzazione concentrica di livelli alternati in una stalattite. (D) depositi minerali di forma granulare. (E) aspetto "colonnare" in una stalattite; si vedono bene le colonne (*) ed il cemento tra di esse (freccia). (F) deposito sferoidale denso in un campione di stalattite.

(A) Filamenti di Leptothrix. (B) Filamenti tipici di Gallionella. (C) e (D) Filamenti rispettivamente di Leptothrix e Gallionella connessi tra di loro da una matrice organica di elementi exopolimerici, cioè polimeri extracellulari (EPS).

Reference:
de los Ríos A., Bustillo A., Ascaso C., Carvalho M.R. (2011) Bioconstructions in ochreous speleothems from lava tubes on Terceira Island (Azores); Sedimentary Geology 236 (2011), pp. 117–128.

mercoledì 11 gennaio 2012

374 anni di Stenone e i princìpi che hanno cambiato la scienza!

In attesa del prossimo post (che uscirà a breve, abbiate fede!) mi permetto una piccola digressione in quanto il mio caro amico Riqui mi ha ben fatto notare come il Doodle di Google di oggi sia un omaggio ad un personaggio ben noto a chiunque abbia qualche conoscenza geologica: Stenone.
Esattamente 374 anni fa difatti nasceva colui che è, a buon motivo, considerato il padre della stratigrafia moderna. Perché Stenone, oltre ad essere un vescovo ed un ottimo medico, formulò tre dei principi base della stratigrafia, tuttora utilizzati: la legge di sovrapposizione stratigrafica, il principio di orizzontalità degli strati e il principio di identità paleontologica.


Approfitto quindi di questa occasione per riprendere e spiegarvi questi principi che stanno alla base della geologia del sedimentario.
Per alcuni geologi questi sono 4, o 4+1, a mio parere essi sono 5, egualmente importanti. Eccoveli qua:

1. Principio dell'Attualismo. I processi che si attuano oggi sono la chiave per l’interpretazione dei
processi che sono avvenuti nel passato. Che significa? Che il geologo ha un po' la presuzione di pensare che le leggi fisiche (chimiche e biologiche) che regolano il mondo attualmente non siano molto differenti da quelle che lo regolavano nel passato. Date certe condizioni ambientali quindi, se un fiume oggi depone un certo tipo di sedimenti, il ritrovare lo stesso tipo di sedimenti in una roccia mi permette di stabilire che nel periodo in cui si è deposta c'erano le stesse condizioni ambientali, e che il detrito era stato depositato da un fiume.
Un po' come nei film polizieschi, quando la scientifica risale all'arma utilizzata analizzando i segni lasciati sulla pallottola. Una stessa arma lascia lo stesso segno, sia durante la malefatta che durante la prova balistica. Così i fenomeni geologici, ognuno ha il suo segno caratteristico, sia che avvenga ora, sia che sia avvenuto milioni di anni fa!
Questo principio è importantissimo, perché se non si partisse da questa ipotesi (da questa "presunzione") non si potrebbe in nessun modo risalire agli eventi del passato.

2. Principio di Sovrapposizione Stratigrafica.In una successione stratigrafica i livelli più alti sono via via più recenti di quelli più bassi. Facile, come quando si fa una torta! Il primo strato che viene messo nella tortiera (il pan di spagna) sarà poi l'ultimo strato al fondo della torta. Così anche per i sedimenti, quelli che si depositano prima rimangono, ovviamente, sotto. Perciò, quando si ha una bella stratificazione, partendo dal basso e salendo verso l'alto si possono percorrere milioni di anni in pochissimi metri!
Ovviamente, se per tirar fuori la torta giriamo la tortiera, tutto viene capovolto. Talvolta capita così anche nelle successioni sedimentarie, per via dei movimenti tettonici della crosta; è importante quindi capire innanzitutto se una successione è indisturbata o se è stata "spostata". 

3. Principio di isocronia. Ogni singolo corpo sedimentario o strato continuo lateralmente è coevo (ha
la stessa età) in ogni suo punto. Questo principio dà adito a possibili incomprensioni. Prima di tutto chiariamo il concetto di "coevo" in senso geologico. Coevo non significa che un corpo sedimentario si forma simultaneamente nello stesso secondo in tutti i suoi punti, ma che si forma in pochi anni, che possono essere centinaia o migliaia in base a quanto indietro si va nel tempo (più si va indietro nel tempo, minore è la risoluzione, più i periodi "lunghi" vengono considerati brevi). Si deve considerare "corpo sedimentario" uno strato o un deposito con caratteri interni riconoscibili e continui lateralmente. Purtroppo, per renderci difficile la vita, la maggior parte degli ambienti naturali presenta variazioni laterali (e talvolta anche verticali) interne di composizione per corpi isocroni. Lungo una costa per esempio i sedimenti deposti allo stesso tempo non sono uguali sulla battigia e in mezzo al mare.
Quando applicabile però questo principio è molto utile per le correlazioni laterali di sezioni anche molto distanti tra loro. Per rendere più sicura la correlazione viene solitamente verificata grazie al 4° principio (che ora vedremo!) e, talvolta, utilizzando dei corpi sedimentari particolari e molto facilmente riconoscibili, detti "livelli marker".

4. Principio di Identità Paleontologica. Un insieme di strati caratterizzati dagli stessi fossili ha la stessa età,
indipendentemente dalla litologia. E qui Darwin ci dà una mano: l'evoluzione infatti è un processo non reversibile! Una specie estinta non potrà essere rinvenuta in rocce più recenti della "data" di estinzione! La datazione tramite fossili è quindi il metodo di correlazione più sicuro. Peccato che non sempre i fossili si trovino nelle sezioni, e che non tutti i fossili siano buoni per le datazioni. Infatti, per essere considerati "fossili guida" (cioè utili per le correlazioni), devono essere in possesso di alcune caratteristiche: ampia distribuzione geografica, poca dipendenza dalle condizioni fisiche e ambientali, abbondanza di esemplari, evoluzione veloce. Ampia distribuzione geografica e poca dipendenza dalle condizioni fisiche e ambientali perché se si trovano solo in determinate zone la correlazione risulta incompleta; se per esempio uso come fossile guida un organismo che vive solo a temperature elevate, non potrò mai correlare grazie a questo organismo le rocce che stavano, per esempio, ai poli! Abbondanza di esemplari perché aumenta la possibilità di trovarli nel sedimento; se volessimo usare un vertebrato, per esempio, la cosa risulterebbe difficilissima, in quanto non è facile trovare un vertebrato fossile! I piccoli conodonti, al contrario, o i foraminiferi, sono abbondantissimi e molto più facili da trovare. Infine devono avere un'evoluzione veloce, perché maggiore sarà l'evoluzione, maggiore sarà la risoluzione della datazione. Se usassimo per la datazione una specie che compare e si estingue in 100 Ma (110 milioni di anni), trovandola nel sedimento potremmo dire che quella roccia ha un'età compresa in quei 100 Ma; ma se usassimo una specie che compare e si estingue in poche migliaia di anni, la nostra datazione sarà molto più accurata!

5. Legge di Walther.  la successione verticale di facies sedimentarie riflette i cambiamenti laterali nell'ambiente deposizionale. Cosa significa? Che se noi abbiamo una bella sezione verticale, i cambiamenti che possiamo vedere verticalmente si riscontravano anche orizzontalmente (prendendo ovviamente una successione continua, in quanto questa regola non funziona in presenza di lacune o superfici erosionali). L'esempio più classico è la trasgressione/regressione marina: prendiamo un punto qualsiasi di una bella spiaggia, da quello immaginiamo di andare verso mare. Prima troveremo i sedimenti tipici di una battigia, quindi di mare basso, di mare alto e poi di fondo oceanico (semplificando molto). Ora invece di muoverci noi facciamo muovere il tempo, e immaginiamo che il livello marino col tempo si alzi. Nel punto dove prima c'era la spiaggia, ora avremo la battigia. Se il livello marino continua ad alzarsi, si avrà successivamente mare basso, mare alto e infine il fondo oceanico. Chiaro, no? La legge di Walther è molto importante non solo perché osservando una successione verticale si può risalire all'ambiente orizzontale, ma soprattutto perché ci dimostra che la natura ha sempre un senso. Tutto ciò che si può quindi "leggere" in uno strato ha senso con ciò che c'è sopra e ciò che c'è sotto, non può essere totalmente casuale. Non posso, per dire, avere una roccia sedimentaria di ambiente marino profondo e sopra, senza lacune o erosione, un bel deposito alluvionale (che si forma, cioè, su una pianura solcata da fiumi).

Eccole qua, le leggi fondamentali della sedimentologia. Scritto un po' in fretta ma con il cuore, perché senza queste tutto il lavoro di chi ha studiato o studia sezioni sedimentarie, bacini, biostratigrafia sarebbe assolutamente inutile!
La prossima volta che vi troverete davanti a una bella scogliera stratificata, spaparanzati sulla sdraio e sorseggiando il vostro cocktail, pensate che dal basso all'alto in quegli strati potreste leggere milioni di anni di storia naturale!!!



Al prossimo post!
Cristiana

martedì 27 dicembre 2011

Azzorre: le montagne sommerse.



Qualche sera fa mi sono ritrovata a vedere le foto delle vacanze estive con gli amici, alcuni dei quali sono stati alle Azzorre.

Non avendo mai sentito troppo parlare di queste isole, sono rimasta molto colpita e incuriosita dalle loro foto ed ho deciso di farmi un po' di cultura a riguardo. Ecco a voi quindi una prima presentazione generale dell’arcipelago delle Azzorre, seguita (nei prossimi post) da alcuni articoli molto interessanti!


L'arcipelago delle Azzorre è situato nell'Oceano Atlantico, tra il 36° e il 40° parallelo Nord, e il 24° e il 32° meridiano Ovest. Le isole vengono comunemente suddivise in tre gruppi: Azzorre orientali, Azzorre centrali ed Azzorre occidentali.

In termini geologici, si sviluppa sulla microplacca delle Azzorre, più correttamente detta Azores Plateau, una piccola porzione di crosta terrestre compresa tra le ben più grosse Placca Nord-Americana, Placca Eurasiatica e Placca Africana.
Inoltre, l'Azores Plateau è delimitato a Ovest dalla dorsale oceanica Medio-Atlantica, una lunga catena vulcanica sottomarina frutto della distensione dovuta all’allontanamento della Placca Americana dalle Placche Eurasiatica e Africana, e che talvolta emerge fino in superficie e forma delle Isole –ne è un esempio l’Islanda. A Nord-Est invece il Plateau è diviso dalla Placca Europea dal Rift di Terceira, una dorsale oceanica ancora allo stadio iniziale che prende nome proprio dall'omonima isola dell’arcipelago. Questo rift è del tipo intra-oceanic spreading system, ma rimando la spiegazione del nome in quando l’argomento è vasto e complesso e necessiterebbe di un post a parte (perché no?).
Infine, la microplacca è divisa a Sud dalla placca Africana tramite la Gloria Fault, una faglia trascorrente destra dovuta ai movimenti relativi delle placche Eurasiatica e Africana, rispettivamente verso Est e verso Ovest. 

Fig. 1 - contesto tettonico delle Azzorre. In verde la posizione
dell'arcipelago, in rosso le frecce indicanti i movimenti
assoluti delle placche, in azzurro la dorsale Medio-Atlantica,
in arancio il rift di Terceira e in viola la Gloria Fault.
(modificato da Jimenez-Munt, 2001)


Dalla Fig. 1 si può ben vedere quindi che l’arcipelago delle Azzorre si trova in corrispondenza di una giunzione tripla (o triple junction, volendo fare gli internazionali), ovvero una zona dove tre placche sono a contatto e interagiscono tra loro in modi diversi: la placca Nord-Americana si sposta verso Ovest, la placca Eurasiatica verso Est e Sud, e la placca Africana verso Nord ed Est.
Il lettore attento si sarà accorto di un intoppo: poche righe sopra non avevo appena scritto che la placca Africana si muoveva verso Ovest? I movimenti delle placche infatti sono di due tipi: assoluti o relativi (troppo facile, altrimenti!). Il movimento assoluto di una placca è la direzione del movimento della placca stessa, quindi, prendendo un ipotetico punto centrale alla placca, la direzione di quel punto; i movimenti relativi sono dati dallo spostamento della placca relativamente a qualcosa, generalmente un’altra placca, o una faglia. La placca Africana quindi ha movimento assoluto verso Nord ed Est, ed è infatti in rotazione, ma siccome si sposta maggiormente verso Nord che verso Est, il movimento relativo rispetto all’Eurasia risulta essere verso Ovest.  


In questo contesto molto instabile (la sismicità in Azzorre è, comprensibilmente, altissima) si sviluppa un plateau vulcanico, una zona cioè caratterizzata dalla presenza di gruppi di vulcani anche molto vicini tra loro. Questi vulcani erano inizialmente sottomarini poi, per eruzioni successive, l’accrezione ha portato all’emersione degli stessi ed alla formazione delle isole come le conosciamo ora. Le Azzorre possono quindi essere considerate come le cime di una catena montuosa sommersa.

Quando è accaduto tutto ciò? Pochissimo tempo fa (geologicamente parlando), nel Terziario, durante la fase alpina; per intenderci, quando da noi si stavano formando le Alpi.

Le rocce che formano l’arcipelago sono vulcaniche, più precisamente basaltiche, cioè di composizione mantellica. Il basalto infatti è una roccia vulcanica oceanica, che si forma in presenza di dorsali, dove, per la distensione di cui parlavamo prima, il mantello terrestre arriva in superficie.
La composizione chimica delle rocce allora, direte voi, sarà semplice: quella del mantello! E invece no! Le rocce appartengono sì al dominio del mantello superiore, ma le condizioni tettoniche complesse della zona influenzano anche la composizione del magma mantellico che arriva in superficie, tanto che si possono trovare variazioni negli elementi e negli isotopi contenuti nei campioni anche di una stessa isola.
Di una cosa però potete stare certi: troverete solo rocce vulcaniche. Unica eccezione, l’isola più vecchia, Santa Maria, formatasi 7Ma (7 Milioni di anni fa), sprofondata e riemersa durante la sua “vita”, sulla quale pertanto si ritrovano anche rocce sedimentarie di ambiente marino.

Le caratteristiche descritte sopra rendono il paesaggio delle Azzorre molto affascinante: lungo la costa il mare si infrange contro le scogliere di basalto nero o grigio, mentre nell’entroterra si incontrano frequentemente vulcani e crateri occupati da laghi (Fig.2).

Fig. 2 - Cratere riempito da un lago. Dal sito rui.moreira.deviantart.com

 
Prossimamente vi proporrò due articoli del 2011 con alcune curiosità (su due tematiche completamente diverse) riguardanti le isole Azzorre.


Al prossimo post!
Cris



Referenze:

De Los Ríos A., Bustillo M.A., Ascaso C., Carvalho M.R., (2011) - Bioconstructions in ochreous speleothems from lava tubes on Terceira Island (Azores). Sedimentary Geology 236 (2011) 117–128;

Jimenez-Munt I., Fernandez M., Torne M., Bird P., (2001) - The transition from linear to di¡use plate boundary in the Azores-Gibraltar region: results from a thin-sheet model. Earth and Planetary Science Letters 192 (2001) 175-189;

Madureira P., Mata J., Mattielli N., Queiroz G., Silva P., (2011) - Mantle source heterogeneity, magma generation and magmatic evolution at Terceira Island (Azores archipelago): Constraints from elemental and isotopic (Sr, Nd, Hf, and Pb) data. Lithos 126 (2011) 402–418.

Inoltre sono state raccolte informazioni dal sito sulle Azzorre dell'Associazione Geoturismo